La mia Siracusa

Urbem Syracusas maximam esse Graecarum, pulcherrimam omnium saepe audistis. Est, iudices, ita ut dicitur..” 

“Avete spesso sentito dire che Siracusa è la più grande città greca, e la più bella di tutte. Signori giudici, è proprio come dicono…”

Marco Tullio Cicerone

 

Vado molto fiero della mia città. Senza presunzione posso dire che per secoli fu tra le metropoli più importanti del mondo antico.

Dice la nostra leggenda che fu fondata da gruppo di Corinzi sbarcati qui fra il 735 e il 734 a.C. Li guidava Archia. Un Bacchiade, nientemeno che un discendente dell’eroe Eracle. Si insediarono in quel di Ortigia e la scelta fu felice, strategica per la posizione geografica al centro del Mediterraneo, e quindi degli scambi commerciali, ma anche per la natura propizia. Doppio porto, sicuro. Abbondanza di acqua. Territorio facilmente difendibile. La crescita della città fu rapida e tumultuosa. Dopo Ortigia sorsero le residenziali Akradina e Tyche, Neapolis ricca di edifici monumentali, e per ultima Epipoli, la zona più alta, a difesa.

Certo questo sviluppo fu segnato da guerre sanguinose e faide interne, capovolgimenti repentini che portarono dall’istaurazione della tirannide alla repubblica. Ma tutto ciò non diminuì la bellezza della mia città. Templi, teatri, piazze e magnifici edifici pubblici la adornavano. Penso al Tempio di Apollo, edificato nel VI secolo. O a quello di Atena del 480 a.C., poi nei secoli trasformato in quel che voi oggi conoscete come il duomo. Ricordo con orgoglio le possenti mura che la cingevano, lunghe più di venti chilometri: palcoscenico perfetto per le mie macchine da guerra. Ricordo I Persiani di Eschilo nel teatro appena restaurato della Neapolis, costruito ai tempi dei tragici sulle pendici sud del colle Temenite. E la storia di Aretusa, la ninfa tramutata in fonte d’acqua da Artemide, talmente legata a questi luoghi che l’aggettivo “aretuseo” è onomastico della mia città. Insomma, quando nacqui Siracusa era già da qualche secolo uno dei centri più belli e fiorenti di quella che voi chiamate “civiltà classica”. Persino Platone il filosofo aveva viaggiato fin qui, per ben tre volte, tra il 388 e il 360 a.C., convinto di poter mettere in pratica le sue idee politiche. Illuso! Si scontrò non tanto con la normale diffidenza del tiranno, Dionisio I, quanto con la riluttanza di tutta la società siracusana. Non ci serve nulla, grazie! gli risposero. Perché darsi pena? Godevamo di un indubitabile benessere. E più che in filosofia i miei concittadini eccellevano nella pittura, nella ceramica, nella produzione di raffinatissimi gioielli, e financo nell’arte enogastronomica.

Il fasto della corte siracusana, le sue ricchezze, la voglia di espandersi che ahimè sempre afferra i comuni mortali, più di una volta la portarono ad affrontare nemici pericolosi. Cartagine, concorrente per il controllo della Sicilia durante le guerre greco-puniche. Atene, rivale per il dominio del Mediterraneo durante le guerre del Peloponneso, sconfitta duramente nel 413 a.C.

Alla mia nascita, nel 287 a.C., re Agatocle era morto da appena due anni. La città regnava su più di metà della Sicilia. Era senz’altro il più importante polo culturale del Mediterraneo insieme ad Alessandria d’Egitto, al centro di dense relazioni scientifiche, politiche, economiche. E poi nel 270 salì sul trono un grande sovrano: Gerone II. Lo conoscevo bene; fu mio caro amico. Sotto il suo regno trascorse quasi tutta la mia vita e la mia attività. Gerone non solo si dedicò alla riorganizzazione amministrativa, economica e culturale del regno, ma cercò con tutte le sue forze di metterlo al riparo dallo scontro ormai incombente tra Roma e Cartagine, che rischiava di coinvolgerci. Fu sua l’intuizione di cambiare cavallo, durante Prima guerra punica del 264, e di allearsi con i Romani abbandonando i Cartaginesi. Mossa vincente, che garantì a Siracusa un lungo periodo di prosperità e di pace. Non lo ringrazierò mai abbastanza. In queste condizioni io potei studiare ad Alessandria con Eratostene e gli altri, dedicarmi alla scienza, e pure a progetti incredibili come la costruzione della Syrakosia, la più grande nave dell’antichità. Che anni splendidi furono. Sembrava che Siracusa non dovesse mai conoscere il declino.

Ma le cose andarono diversamente. Nel 216 morì il principe ereditario Gelone; il re si spense l’anno seguente alla veneranda età di 90 anni, e tutto ciò che aveva faticosamente costruito si sgretolò in un batter d’occhio. Salì al trono il nipote Geronimo, un ragazzo imberbe che aveva scambiato l’accortezza del nonno con l’ambizione. Pessimo baratto.

Ruppe l’alleanza coi romani. Prese in giro gli ambasciatori chiedendo notizie della loro disfatta a Canne. Si alleò con Annibale, sognando di prendersi la Sicilia. E il senato romano non la prese bene, come c’era da aspettarsi. Ci spedì subito un esercito contro, al comando del console Marco Claudio Marcello. Io sentivo che andavamo incontro alla catastrofe, ma feci di tutto per difendere la mia terra. L’assedio fu lungo, fra alti e bassi, e a un certo punto sembrò che i miei sforzi e le mie invenzioni che spaventavano quegli zotici dei romani potessero evitare la sconfitta. Ma quelli catturarono un nostro ambasciatore che avevamo mandato a chiedere aiuto al re di Macedonia, Filippo, organizzarono uno scambio di prigionieri, e con questa astuzia presero le misure delle nostre mura. Così una notte, correva l’anno 212, approfittando dei festeggiamenti per Artemide che duravano ormai da tre giorni, riuscirono a scavalcarle e a sorprenderci. Fu la fine della Siracusa che conoscevo. E anche la mia.